Vulcanico, irruento, combattivo, passionale …. Sul patron del Chieti Calcio Giorgio Pomponi si potrebbero spendere tanti aggettivi. Certamente è colui che ha saputo ridare entusiasmo, con questo suo carattere spontaneo e forte al tempo stesso, ad un ambiente, quello neroverde, che aveva visto i tifosi allontanarsi dalla squadra della città progressivamente giorno dopo giorno.
Il suo parlare chiaro alla gente, i suoi proclami hanno conquistato una piazza che all’inizio aveva guardato alla sua figura anche con un certo scetticismo: lui ed i suoi collaboratori sono andati avanti a testa bassa e, lavorando 24 ore su 24 sul Chieti Calcio, sono riusciti a ridare fiducia e credibilità al nome della società e alla squadra.
Cinque mesi circa di gestione fra mille difficoltà, ma sempre pronto a dare il massimo per la causa neroverde: questo è Giorgio Pomponi, uno che non ci ha pensato su due volte a far allenare i suoi giocatori alle sei del mattino dopo la catastrofica prestazione ad Isernia e che è sempre pronto a lottare per ciò in cui crede. Il Chieti Calcio, i tifosi, lo Stadio Angelini, le istituzioni e tanto altro in questa chiacchierata col patron dei neroverdi.
Un suo bilancio dei primi cinque mesi a Chieti? “Tante cose belle ed altre brutte. La più bella in assoluto gli ’89 Mai Domi, poi aver trovato delle persone speciali come Omar Trovarello, Walter Costa e quelli con cui collaboro. Anche lo Stadio Angelini, vera croce e delizia. La gente non capisce, ma non perché è stupida, ma perché si impegna a non capire che una società come la Chieti Calcio ha avuto un passato così disastroso nella gestione precedente e, come dissi tanto tempo, fa quest’anno si giocherà non solo sul campo ma anche fuori per risolvere tutta la situazione drammatica che ho trovato al mio arrivo. Tutti parlano sui social, ma io non sono un tipo tecnologico, non ho neanche facebook . Ho detto all’inizio che volevo vincere: nella vita si deve sempre vincere. Come in ogni nuova avventura sicuramente sono state fatte anche tante cose sbagliate. La delusione più grande è non aver mai visto lo stadio pieno. Altro brutto fattore è la burocrazia che ci contraddistingue in Italia e qui con il comune non ci fa sbloccare la storia dell’Angelini. Sono amareggiato dal fatto che non ci vogliono far fare calcio nel settore giovanile perché sanno che poi andrebbe a danno di altre società storiche della città. Con l’Atletica noi ci siamo messi subito a disposizione e loro non hanno mai dato modo di risolvere tutta la situazione che conosciamo. La città non ha risposto come avrei voluto, io sono comunque a posto con la mia coscienza”.
Lei con i suoi collaboratori ha puntato tanto sulla Juniores del Chieti che la sta ripagando con ottimi risultati? “C’è stato un grande lavoro del Mister Florio che con l’aiuto di Dino Petrangelo ed Omar Trovarello ha costruito una bella realtà. Io penso però che il settore giovanile si debba cominciare non dalla juniores, ma dai ragazzini. Ho anche questo rammarico: non mi hanno ascoltato in questo senso, io ci metto sempre entusiasmo però quando vedo che se io do una mano e puntualmente su essa mi danno uno schiaffo, a lungo andare potrei cominciare a perdere la pazienza. Io chiedo un pezzo di terra alle istituzioni, pagherei tutto io, ne parliamo ancora dopo sei mesi cosa dovrei dire ancora?”
È già pentito o ancora felice di essere venuto a Chieti? “Bella domanda! Sono contento di aver conosciuto tanta bella gente, sono deluso dal fatto che mi aspettavo una risposta maggiore dalla città. Ieri parlavo con il presidente della Sambenedettese che mi diceva come ora che sono primi in classifica allo stadio vanno 7000 persone, ma già prima che erano a metà classifica ce ne erano anche 4000 o 5000. I prezzi allo stadio lì sono molto più alti rispetto a quelli nostri e nonostante questo non vedo il pubblico che vorrei vedere all’Angelini. Ad oggi Chieti mi ha dato molto sotto il profilo umano, ma questa cosa dello stadio non pieno mi dispiace. Non mi serve visibilità dal Chieti già ce l’ho di mio. Io non ho chiesto niente a nessuno: volevo solo poter fare calcio in una determinata maniera, partendo dal settore giovanile e non me lo stanno facendo fare”
Il Chieti ha avuto un andamento un po’ altalenante in campionato: come mai a suo giudizio? “La squadra è composta da tanti ragazzi, alcuni dei quali non si sono calati al meglio nella realtà di Chieti. Qui si voleva una risposta importante, quella che la città meritava. Prima di essere calciatori dovrebbero essere uomini. Il campionato comunque non è finito: onore alla Sambenedettese che sta facendo molto bene, ma da qui a non provarci per niente io non lo accetto, dobbiamo provarci comunque. Solo i vili o i mediocri si piegano alla sconfitta e noi non lo siamo dunque dobbiamo ancora e sempre crederci”
Se lei si dovesse definire con un aggettivo quale sarebbe? “Pazzo! Mi piace fare tutte cose controcorrente, non amo tutto ciò che dice la gente, non uso i social network e vado avanti per la mia strada. Quando mi dicevano che a Chieti avrei avuto tutti contro, io sono arrivato ed ho messo tutti d’accordo. Qualsiasi cosa succede mi prendo le mie colpe in ogni occasione, l’allenatore e la squadra non ne hanno, è tutta solo colpa mia”.
Si sarebbe mai aspettato tanto clamore per la sua decisione di far allenare la squadra alle sei del mattino? “Non mi interessava avere visibilità perché io la voglio solo quando torno a casa da mia moglie e i miei figli. Volevo far capire ai ragazzi cosa significhi alzarsi la mattina per andarsi a guadagnare il pane: forse non si rendono conto della fortuna che hanno nel fare i calciatori. Se dovessero fare altre brutte prestazioni ho già in mente altri provvedimenti, ma speriamo che non servirà attuarli. Devono rispettare la maglia neroverde che indossano: fanno un bel lavoro, sarebbe il sogno di molte persone fare il giocatore di calcio, anche in questa categoria. Non devono solo camminare in campo, ma dare il meglio per la maglia!”
Come vede il suo Chieti a dicembre? “Lo vedo secondo in classifica. Logicamente la squadra andrà rinforzata, ma anche sfoltita da giocatori che non hanno dimostrato ciò che ci aspettavamo. Non si è calciatori solo mettendosi gli scarpini, ma bisogna dimostrare di esserlo realmente con le prestazioni in campo”.